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CORONAVIRUS

Ultimo Aggiornamento: 03/04/2020 19:06
03/04/2020 16:05
 
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La verità è che per noi cambierà l’intera esistenza

Corriere della Sera
di Olga Tokarczuk, 02 apr 2020

Davanti ai nostri occhi si dissolve come nebbia al sole il paradigma della civiltà: che siamo i Signori del Creato, possiamo tutto e il mondo ci appartiene


Dalla mia finestra vedo un gelso bianco, è un albero che mi affascina ed è stato uno dei motivi per cui mi sono trasferita qui. Il gelso è una pianta generosa — per tutta la primavera e per tutta l’estate nutre decine di famiglie di uccelli con i suoi frutti dolci e sani. Adesso invece il gelso non ha foglie, intravedo quindi un tratto della strada silenziosa dove di rado passa qualcuno, camminando verso il parco. A Wroclaw è praticamente estate, splende un sole accecante, il cielo è azzurro e l’aria pulita. Oggi, durante la passeggiata con il cane ho visto due gazze che scacciavano un gufo dal loro nido. Ci siamo guardati negli occhi, io e il gufo, a distanza di meno di un metro.


Ho l’impressione che anche gli animali aspettino che cosa succederà. Per me da molto tempo ormai il mondo era troppo. Troppo, troppo veloce, troppo rumoroso. Non ho quindi il «trauma dell’isolamento» e non soffro di non poter incontrare nessuno. Non mi dispiace che abbiano chiuso i cinema, mi è indifferente che i centri commerciali siano fuori servizio. Forse soltanto se penso a tutti quelli che con questo hanno perso il lavoro. Quando ho saputo della quarantena di prevenzione ho sentito qualcosa di simile a un sollievo e so che molti lo sentono, benché se ne vergognino. La mia introversione, costretta e maltrattata dai dettami degli estroversi iperattivi, si è data una spolverata ed è uscita dall’armadio.

Vedo dalla finestra il vicino di casa, un avvocato sempre molto indaffarato che solo poco fa vedevo uscire presto, di mattina, per andare in tribunale con la toga appoggiata al braccio. Adesso indossa una tuta sformata e combatte con un ramo in giardino, forse si è messo a fare le pulizie. Vedo una coppia di giovani ragazzi che portano a spasso un vecchio cane che da quest’inverno quasi non cammina. Il cane si trascina sulle gambe, ma loro, pazienti, gli fanno compagnia rallentando più che possono il passo. Il camion della spazzatura con grande rumore raccoglie i sacchi.

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La vita scorre, eccome, ma a un ritmo completamente diverso. Ho fatto ordine nell’armadio e ho portato i giornali già letti nel contenitore della carta. Ho trapiantato i fiori. Ho ritirato la bicicletta dal ciclista. Cucinare mi rende felice. Insistentemente mi tornano in testa i ricordi d’infanzia, quando c’era molto più tempo ed era possibile «sprecarlo», guardando dalla finestra per ore, osservando le formiche, rimanendo sotto il tavolino immaginandosi che fosse un’arca. Oppure leggendo un’enciclopedia. O non sarà forse che siamo tornati a un normale ritmo di vita? Che non è il virus l’alterazione della norma, ma proprio l’opposto — che quel mondo febbrile di prima del virus era anormale? Il virus del resto ci ha ricordato qualcosa che abbiamo negato con passione — che siamo esseri fragili, costruiti della materia più delicata. Che moriamo, che siamo mortali. Che non siamo separati dal mondo con la nostra «umanità» ed eccezionalità, ma il mondo è parte di una grande rete alla quale apparteniamo, collegati agli altri esseri tramite un invisibile filo di responsabilità e influenza. Che siamo dipendenti da noi stessi e, al di là di quanto lontano sia il Paese da cui veniamo, la lingua che parliamo o il colore della nostra pelle, comunque ci ammaliamo, comunque abbiamo paura e comunque moriamo.

Ci ha fatto capire che indipendentemente da quanto ci sentiamo deboli e indifesi di fronte ai pericoli, ci sono intorno a noi persone ancora più deboli, che hanno bisogno di aiuto. Ci ha ricordato di quanto siano delicati
[Modificato da SONOTRANOI 03/04/2020 16:22]


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E un potente alleato essa è.
La vita essa crea, e accresce.
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03/04/2020 19:06
 
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Lo avevo letto anche io ieri, il medesimo articolo. Al di la della preoccupazione di poter prendere il virus e del dispiacimento per quanti sono morti e per chi vive sulla propria pelle questa malattia, a me per quanto riguarda la vita quotidiana non dispiace per niente adesso e le medesime riflessioni lette sull'articolo del Corriere potrei averle fatte io
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